Dieci domande per comprendere meglio il valore della vita, obiettivi e strategie da attuare per la sua difesa.
IL PROSSIMO INCONTRO DEL SEMINARIO DI BIOETICA E' PREVISTO MERCOLEDI 12 MARZO ORE 17.00 PRESSO I LOCALI DELLA PARROCCHIA CIANCIO A MARSALA
Prof. Pietro Cognato |
· Grazie
prof. Cognato per aver accettato di relazionare al nostro seminario. Le abbiamo
chiesto di parlarci di Bioetica. Ci dica cos’è?
La parola Bioetica è un
neologismo coniato da Potter negli anni 70 per indicare una esigenza relativa
alla salvaguardia del nostro pianeta. Secondo l’oncologo statunitense era
necessario, viste le repentine scoperte scientifiche e la invasiva applicazione
tecnica in ogni ambito della vita sulla terra, cominciare a pensare in maniera
sistemica, cioè all’opposto di una mentalità a compartimenti stagno. Egli
plasticamente parla di un ponte tra le conoscenze scientifiche (espresse tutte
dal suffisso “bio”) e la cultura umanistica umanistica (espressa dalla parola
“etica”). In altri termini, era necessario cominciare a pensare e ragionare
avendo come obiettivo lo sviluppo sostenibile del pianeta. Oggetto, dunque,
della incipiente riflessione bioetica fu la “sopravvivenza” del pianeta, non
più da intendere secondo il paradigma darwiniano di una sopravvivenza frutto di
scontri tra forze e di causalità genetico-ambientali, piuttosto una
sopravvivenza quale risultante di una concertazione ragionevole/razionale tra
le parti in causa, che sono poi tutti i soggetti coinvolti nella difesa della
vita sul pianeta. La sfida fu ed è quella del dialogo tra la generazione
presente per garantire le generazioni
future.
· Quale
consigli per far conoscere la Bioetica oggi?
Se volete fare bioetica e cercare
di raggiungere più persone possibili, non dovete presentare la bioetica come
una disciplina che si consuma solo nell’alveo della medicina e dei problemi che
essa solleva quando incontra le questioni relative al vivere e al morire.
Proprio partendo da queste cruciali questioni, sarebbe il caso che si
presentasse la bioetica innanzitutto come una esigenza globale per la salvaguardia
della identità dell’uomo, identità che passa per la cruna delle concezioni
capitali del nascere e del morire, dell’essere curati ed accompagnati. Insomma
una bioetica come cultura della vita e per la vita. Faccio un esempio: se
sentiamo la parola bioetica, pensiamo alla questione ecologica? Se ciò non
accade è perché la bioetica nel nostro paese, ma non solo ha subìto una
riduzione concettuale, perdendo di vista il suo ampio respiro, che spazia dalle
questioni inerenti la medicina sino a quelle a carattere ambientale. Allora, studiare
la bioetica per un movimento per la vita, sebbene questo sia segnato
storicamente dal fatto di essere nato per ribadire con forza la difesa del
nascituro sin dal concepimento,
dovrebbe, vista la velocità con cui si susseguono gli avvenimenti storici,
cominciare ad allargare i suoi orizzonti, ad occuparsi cioè anche di altro, non
per mire che non siano quelle di intercettare la sensibilità morale, che
funziona come un sismografo che registra i vari smottamenti della nostra
società.
·
Di cosa si
occupa la Bioetica?
Al di là delle intenzioni del
coniatore di questo nuovo termine che da più di quarant’anni catalizza molti
dibattiti culturali a più livelli (da quelli televisivi a quelli sulla carta
stampata fino ai consessi accademici), la Bioetica è un tentativo di rispondere ad un’emergenza
morale che ha una peculiarità, ovvero l’esperienza disorientante del rapporto
assolutamente inedito tra natura e tecnica. In altri termini, la riflessione
che essa porta avanti si occupa di comprendere tutti quei problemi morali che
sono, o attinenti o conseguenti, al rapporto strettissimo tra natura e tecnica.
Questo rapporto esiste da quando l’uomo ha messo piede sulla
terra, ma mai come oggi tale rapporto aveva assunto la configurazione secondo cui non basta più l’idea classica che dice “questo è secondo natura e questo è contro natura” per chiarire i fatti. La domanda “Che cos’è Natura?” è ormai tra quelle più formulate e meno soddisfatte, perché, per esempio, solo 40 anni fa coloro che oggi sono in una rianimazione erano sotto terra. Ciò significa che il concetto di vita si è allargato fino a non comprendere più il confine ormai labile, sfumato, tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale.
terra, ma mai come oggi tale rapporto aveva assunto la configurazione secondo cui non basta più l’idea classica che dice “questo è secondo natura e questo è contro natura” per chiarire i fatti. La domanda “Che cos’è Natura?” è ormai tra quelle più formulate e meno soddisfatte, perché, per esempio, solo 40 anni fa coloro che oggi sono in una rianimazione erano sotto terra. Ciò significa che il concetto di vita si è allargato fino a non comprendere più il confine ormai labile, sfumato, tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale.
· L’inizio
vita è la prima grande questione della Bioetica. Molti ci obiettano dicendo che l’embrione è "un ammasso di cellule”. Quali sono le argomentazioni secondo cui dovremo sostenere
che la fusione dei gameti sessuali porti ad una identità verso la quale è
dovuto un rispetto?
Spesso tutta la discussione si
polarizza nel dire “è persona” dopo il 14 giorno, oppure lo è prima, o che lo è
solo quando l’embrione si annida nella parete uterina perché prima avendo
ancora le cellule totipotenti, dunque indifferenziate, possiamo ancora
intervenire, perché non siamo dinanzi ad una identità personale ma ad un
ammasso di cellule. Come rispondere? Perché noi pensiamo che quella ‘cosa’ andrebbe
difesa come un bambino in braccio? Quali sono le vie argomentative per
sostenere ciò? La biologia può veramente dirci se un embrione è persona oppure
no? O può solo offrirci gli elementi di natura empirica per sostenere che ci
sono dei buoni motivi per assegnare uno
status morale all’embrione capace di procacciarsi la difesa della vita così
come naturalmente pensiamo nei confronti delle persone? Perché coloro che sono
per l’aborto sostengono semplicemente che l’embrione non sia persona e noi
cristiani, invece, prestandogli il fianco, ribattiamo:“no, è persona!”? E’
questo il momento in cui la discussione si ingessa, si cristallizza secondo
questo schema: da una parte ci sono coloro che dicono che non è persona e
dall’altra coloro che dicono che è persona. Ma come facciamo noi a confutare
loro così come loro fanno a confutare noi? Remiamo su due fronti assolutamente
opposti perché siamo caduti nel tranello di non smascherare il punto della
controversia. Se continuiamo a dire che dalla fusione dei gameti sessuali
abbiamo una persona, non avremo modo di dimostralo, perché non ci siamo ancora
chiesti che cosa intendiamo quando usiamo il concetto di persona applicato
all’embrione. Proviamo a farlo e poi proviamo a chiederci perché molti lo
rifiutano, ci accorgeremo che il rifiuto non sta nel concetto di persona in sé
ma in un preciso concetto di persona che noi presentiamo. Se per alcuni, per
esempio, persona è solo colui che è capace di sentire il piacere e il dolore
oppure persona è colui che è capace di intendere e di volere oppure, ancora,
persona è colui che ha ed esprime il proprio interesse per la vita, ci
accorgeremo subito che l’embrione non ha nessuna di queste caratteristiche, ed
è solo per questo che questi negano che l’embrione sia persona. Una volta
capito ciò, dovremmo adottare una strategia diversa, che non presti il fianco
ad una sempre possibile strumentalizzazione del concetto stesso di persona, ma
che, al contrario, si sottragga completamente e si volga verso un’altra
argomentazione, che è la seguente: “dalla fusione dei gameti, quella cosa lì,
può non essere una cosa che non appartiene alla specie umana?” Da qui provo a
formulare un sillogismo: “Uccidere una persona
è sbagliato - l’embrione non è una persona
- uccidere l’embrione è giusto”. E oppongo quest’altro sillogismo: “Uccidere
un essere umano è sbagliato -
l’embrione è un essere umano -
uccidere l’embrione è sbagliato”. Così facendo mi sono semplicemente sottratto
a questo gioco consistente nella risemantetizzazione del concetto di persona e
ho posto di fronte a me e agli altri l’evidenza empirica, ovvero biologica,
secondo cui da una donna non è mai venuto fuori un cavallo. La scienza infatti
ci dice che questa nuova vita intrinsecamente possiede una forza che lo porterà
in maniera articolata e complessa alla formazione di un individuo. Potremmo
dire che persona, se proprio vogliamo usare questo termine, è colui che non può cessare di essere senza cessare di
esistere. Solo così è ammissibile l’uso del termine persona applicato
all’embrione senza il pericolo di possibili strumentalizzazioni
riduzionistiche.
· Quali
strategie è meglio attuare per sostenere le nostre posizioni?
Voi siete convinti che la vita
umana inizia sin dal momento del concepimento. Per quale motivo? Perché lo dice
il Magistero della Chiesa cattolica? Ritenete l’interruzione volontaria di
gravidanza e dunque vi attivate ad aiutare tutte le donne che vorrebbero
abortire ma potrebbero anche essere aiutate a cambiare idea per il fatto che
siete cattolici? Interrompere volontariamente la gravidanza è sbagliato perché
siamo cattolici o questo è comunque sbagliato e i cattolici sono d’accordo in
questo? Una cosa è giusta perché Dio la vuole? O Dio la vuole perché è giusta!?
La mia idea è che occorre rimanere razionali e istruire un discorso ragionevole
senza necessariamente fare leva su una argomentazione a stampo teistico. Solo
così, dunque, potrei dialogare con tutti. L’unico modo in cui si potrebbe
interrompere il dialogo è quello secondo cui anche questa ‘novitas biologica’ è
alla mia mercé, cioè io decido comunque, in quanto sono donna, di pensare che
il “corpo è il mio e l’utero è mio e lo gestisco io” e allora apporto
l’argomentazione della emancipazione femminile con la quale decido che sono
sempre io a decidere su questa nuova vita. E qui non è tanto uno
scontro/incontro tra una razionalità e una prospettiva di fede ma lo scontro
sta nella percezione del valore vita e sulla sua articolazione con altri
valori. Dico così perché anche l’emancipazione femminile, che corrisponde alla
libertà personale, è un valore. Il punto è comprendere in che rapporto sta la
libertà personale con il valore di una vita. E qua arriviamo ad un livello in
cui non sono più validi solo i ragionamenti, ma quello che sta a monte di certi
ragionamenti. Cioè in fondo, se un soggetto non percepisce il valore della
vita, che appunto scaturisce da quella fusione dei gameti e che costituisce la
piattaforma senza la quale non ci sarei neanche io - perché vorrei ricordare
che ognuno di noi è stato uno zigote -, farà scaturire tutta una serie di
ragionamenti che seguiranno quella impostazione di fondo, che attiene al sentimento del valore, che insieme alla
ragione, all’intuizione e alla volontà, concorre a far nascere in noi quella
riflessione etica che costituisce il nostro orizzonte di uomini e donne. Perché
la questione etica è una questione ragionevole e quindi anche razionale ed è il
livello su cui mi sono subito posto parlando con voi, ma per fortuna non si
riduce solo a livello razionale, ma in quanto coinvolge tutta la persona, i
livello sono diversi
· Cosa
intende più precisamente quando dice ‘percezione dei valori’?
In fondo i valori, a differenza
di tutto ciò che noi vediamo, che lo possiamo appunto appurare, ripetere su un
tavolo di laboratorio, sono conoscibili ma non alla stregua di tutte le altre
cose che possiamo conoscere sul piano empirico/fattuale. In altre parole, non posso agguantare un valore, né posso
ripeterlo su un tavolo da laboratorio, né posso dire che credere nel valore
della vita sia come credere che un oggetto lasciato nel vuoto cada a terra.
Perché un oggetto nel vuoto che cade a terra è affermabile per evidenza
scientifica; i valori, purtroppo, ma anche per fortuna, sono quegli oggetti di
conoscenza che non cadono sotto il raggio della evidenza scientifica ma cadono
sotto quel raggio di una evidenza assiologica che è legata al nostro sentimento
percettivo del valore. Anche per quanto riguarda l’inizio della vita fin dal
concepimento o ce l’abbiamo questa percezione o non ce l’abbiamo. Naturalmente
la percezione è veicolata dalla assunzione corretta dei dati empirici. Nel caso
della vita fin dal concepimento, il dato empirico secondo cui dalla fusione
inizia un nuovo processo che non è riducibile a niente se non a se stesso e che
si costituisce di quel patrimonio che sarà il medesimo nell’adulto, depone a
favore della percezione della vita fin dal concepimento.
· E quindi
quale può essere l’obiettivo del nostro movimento?
Dovete imparare a fornirvi di uno
strumentario a carattere razionale per poter sostenere le vostre convinzioni ed
evitare di bypassare tutto questo subito cercando la ‘mamma’ che in questo caso
è la Chiesa. Cioè è molto più semplice dire che noi siamo contro l’aborto
perché siamo cattolici; in automatico c’è già un rimando al Magistero della
Chiesa; tradotto: “andatevelo a leggere”. Più difficile è invece dire che io
sono d’accordo con i Cattolici però mi chiedo non tanto cosa la Chiesa dice in
merito, ma perché lo dice. Qual è l’assunto di fondo da cui parte la Chiesa? Se
noi questo non lo comprendiamo, noi non andiamo da nessuna parte e siamo già
destinati a schierarci. I giovani, per esempio, digeriscono pochissimo le
prediche, ma vorrebbero un confronto e soprattutto hanno le antenne abbastanza
tese per cogliere se le onde che provengono da chi parla abbiano un certo grado
di ragionevolezza oppure un altissimo tasso di principio di autorità. Spesso
noi preferiamo usare il principio di autorità senza quello di ragione e dunque
tutti automaticamente spengono il cervello e fuggono. Ora chiaramente questo
obiettivo è in fondo la nostra grande sfida. Cioè “riusciranno i nostri a
inerpicarsi sul crinale irto e molto scivoloso dell’argomentazione razionale?” L’unica,
possibile, per poter dialogare - non tanto per convincere e far passare l’altro
dalla nostra parte - ma sicuramente per far dire all’altro che noi non siamo
così avulsi dalla realtà, né abbiamo posizioni ‘peregrine’ o ‘dogmatiche’. E lo
dico da teologo, non lo sto dicendo semplicemente da bioeticista. Il problema
morale dell’interruzione volontaria di gravidanza è preceduto da un problema di
natura empirica ovvero “che cos’è questa ‘cosa’ nella pancia della mamma?”. E
questo non ce lo dice la morale, non ce lo dice neanche Gesù, ma la Biologia
che, però, non ci dice che è persona ma qualcosa che appartiene alla specie
umana. Se noi siamo convinti che il volto dell’altro sia l’unico oggetto della
nostra attenzione etica, o meglio ancora, se l’etica nasce perché il volto
dell’altro ci provoca, allora questo volto dell’altro è anche quello
dell’embrione. Il presupposto è voler trattare moralmente l’altro, nel senso
che quest’altro è sempre moralmente ‘fine’ e mai ‘mezzo’. Nell’interruzione
volontaria di gravidanza non si tratta di capire di chi è l’interesse in questa
intenzione (la carriera della donna, i problemi economici, etc, etc…), ma la
domanda è “che cosa c’è in gioco?”. E dunque, la vita del nascituro configgendo
con altre vite, con altri valori, ha la meglio o no? Cioè il valore della vita,
confliggendo con il valore dell’assetto economico disastroso di una donna, ha
la meglio o no? Ecco noi dovremmo dire che ha la meglio, perché la vita ha
sempre la meglio rispetto all’economia.
· Come
dobbiamo porci con quanti non condividono questa scala dei valori?
Poniamo caso ci si presenti un
altro criterio superiore alla vita (l’economia, la capacità intellettiva, etc,
etc…) noi dobbiamo accettare che questo deve valere anche, non tanto e non solo
per i nascituri, ma anche per chi è già nato; cioè in poche parole, qualora dovessimo noi cadere in bassa fortuna, poiché
l’economia è superiore, dovremmo anche ammazzarci! E invece non mi sembra che
saremmo tutti d’accordo. Perché noi non ci ammazziamo ma sosteniamo che anche
se siamo poveracci dobbiamo vivere? Allora dovremmo spingere i nostri
interlocutori a riflettere sulla coerenza interna dei nostri ragionamenti, cioè:
non puoi pensare solo per un soggetto che l’economia è superiore e invece per tutti
gli altri soggetti cambiare idea. A meno che si stabilisca un criterio per cui
si è degni di vivere o morire. Ma la domanda nasce spontanea: chi può stabilire
un criterio? A ben pensare, coloro che sostengono che si può anche abortire
fanno lo stesso ragionamento, sebbene non lo si riconosca perché la differenza
tra emettere un giudizio di morte per coloro che ancora non si vedono e per
coloro che già si vedono e soffrono si sedimenta solo sul piano emotivo, ma sul
piano logico non si ravvisa nessuna differenza. Se, cioè, di fronte all’ebreo che
muore in un campo di concentramento siamo emotivamente coinvolti e quindi
percepiamo l’ingiustizia, non avviene così facilmente con l’embrione perché lì
ci sono altri fattori emotivi che possono remare contro, come per esempio il
fatto che mi convenga abortire perché ho già tanti problemi, ecc… Poiché
l’embrione non si vede allora noi abbiamo un minore coinvolgimento emotivo e
dunque decidiamo di abortire. Ma, ripeto, se stiamo sul piano della logica ed
escludiamo l’emotività dovremmo dire che il ragionamento è identico. Tutti
quelli, dunque, che sostengono che l’embrione umano, in quanto non ha alcune
capacità, non è degno di vivere, stanno praticamente scegliendo un criterio che
segna la soglia significativa di senso al di sotto della quale non si vive e
sopra la quale invece si.
· In tutto
questo dove sta la fede?
La fede sta sul piano della genetica della
percezione del valore. Cioè, se io sono cristiano la fede diventa per me un
motore, un trampolino di lancio, una pedana che mi aiuta, a differenza di
coloro che non credono, i quali fanno più fatica a percepire prima il valore.
Il fatto che io creda in Dio e mi auto-concepisca come essere limitato e
creatura, mi agevola nell’intuizione secondo cui non sono sempre nella
possibilità di disporre di me stesso. Questo già mi aiuta a imboccare una vita
ma solo a livello della percezione del valore. Se per esempio io affermo che
“tutti gli uomini devono essere rispettati, tutti come fine e non come mezzo”, e
questo è perfettamente comprensibile da parte di tutti, mi chiedo: dov’è Dio? Dio
c’è se dico: ““tutti gli uomini devono essere rispettati, tutti come fine e non
come mezzo, perché siamo a immagine di Dio”. Cioè abbiamo fatto un affondo, ma
potevamo non farlo e voi già eravate d’accordo con me. Quindi possiamo riuscire
ad enucleare un fondato logico senza il suo fondamento teologico, sebbene se ce
lo aggiungiamo non fa male. Questa è solo una strategia che già i medievali
usavano. S. Anselmo di Canterbury diceva che bisognava usare una metodologia “Remoto Christo”, cioè mettiamo tra parentesi
la fede per un solo attimo – perché devo dialogare con l’ebreo e con il
musulmano. Mettere tra parentesi non vuol dire mettere da parte Cristo ma vuol
dire metterlo al fondo del fondo della mia discussione e non c’è bisogno che io
lo citi. In fondo per comportarci bene non è necessario dire che noi siamo
cristiani; lo sappiamo noi che lo siamo – come opzione di fondo, come scelta
profonda, come orizzonte di senso eterno della nostra esistenza - , ma non
perché non sia giusto, ma come strategia.
Riflettiamo. Una cosa è giusta perché Dio la vuole o Dio la vuole
perché è giusta? Si apre lo scenario: “Perché è giusta?” e comincio a cercare e
a ricercare.
· In alcuni
paesi europei (Olanda e Belgio), hanno già accettato normalmente l’eutanasia.
Questo cosa può significare per il valore della vita?
Bisogna portare l’interlocutore a
dire “tu hai la possibilità di scegliere un criterio, stabilito il quale decidi
chi sta sotto e chi sta sopra. Ebbene, io non ce l’ho. Questo mi è successo
tante volte, cioè di pormi come colui che non avendo nessun criterio, si
arrende. Poiché io non ho nessun criterio per dire chi deve vivere e non, voi invece
ce l’avete, dimostratemi come siete riusciti ad ottenerlo. Di fronte a ciò, può
succedere che l’interlocutore deponga le armi, ovvero si chieda: “Ma aspetta,
ma noi da dove lo prendiamo questo criterio?”.
Questo è un po’ l’idea socratica
di porre l’interlocutore della sua assoluta nudità, poiché in fondo se loro
scelgono un criterio lo fanno solo arbitrariamente; infatti ognuno può
scegliere un criterio differente a questo punto: l’economia, l’emancipazione
femminile, la qualità della vita eccellente, etc, etc… Se accettiamo l’idea che
ciascuno può scegliere arbitrariamente un criterio, noi dove andiamo??!! Allora
preferiamo dire: “Io non ho un criterio; non avendolo allora mi arrendo”. Il
compito del Movimento per la vita è quello di vegliare e sostenere questo
argine: o tutti o nessuno! Naturalmente, l’impresa è ardua.
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