Il direttivo

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BIOETICA: Definizione, fondamenti e contenuti

Il termine "bioetica" fu introdotto nel 1970 dall’oncologo Van Rensselaer Potter in un suo articolo (Bioethics. The science of survival, pubbl. sulla rivista "Perspectives in Biology and Medicine", 14 (1), pp 127 – 153) che, nell’anno successivo, diventò poi il primo capitolo del suo volume Bioethics. Bridge to the future (Englewood Cliffs (N.J.) 1971). Potter in questo articolo parlava della bioetica come "una nuova disciplina che combinasse la conoscenza biologica con la conoscenza del sistema dei valori umani"; egli aveva infatti compreso che l’uso indiscriminato del sapere scientifico-tecnologico può rappresentare un serio pericolo per la sopravvivenza dell’uomo, anzi di tutte le specie viventi sulla terra. Paradossalmente, proprio il progresso scientifico, che mira a conferire all’uomo una migliore qualità di vita, può tragicamente insidiare la vita stessa; oggi questo grido di allarme sembra quanto mai attuale e si guarda con preoccupazione, per citare alcuni degli aspetti più emblematici del problema, alle conquiste dell’ingegneria genetica ed alle sue applicazioni (manipolazione delle strutture viventi, clonazione e costruzione di armi biologiche), all’inquinamento, alle armi nucleari e chimiche, ecc. Potter, dunque, indicava come unica possibile via di uscita la costituzione di un "ponte" fra sapere scientifico ed umanistico, prendendo in considerazione non solo l’uomo, ma tutta la biosfera ed il suo equilibrio.



Questo ponte è, dunque, la bioetica, nella quale scienze sperimentali e scienze umanistiche non sono in alternativa, ma formano un’unità armonica alla cui base c’è, tuttavia, la domanda filosofica sulla liceità dell’atto scientifico, nella consapevolezza che non tutto ciò che (scientificamente) è possibile è anche (eticamente) lecito. In realtà è lo stesso scienziato che, se vuole essere veramente "umano", deve integrare l’aspetto etico-positivo (corretta impostazione scientifica) con quello etico-filosofico ed antropologico.



ž Gli ambiti della bioetica, in particolare, includono le professioni sanitarie, le ricerche sperimentali – anche non terapeutiche – sull’uomo e sull’animale, la politica sanitaria, la medicina del lavoro, la politica demografica nazionale ed internazionale, l’ambiente, il biodiritto (traduzione in leggi dei principi bioetici a partire dalla pluralità degli orientamenti bioetici esistenti in una nazione), l’educazione (si richiede un’educazione nelle famiglie e nella Scuola su alcuni temi fondamentali di bioetica, quali l’origine, le forme e il senso della vita, la centralità della persona umana, bioetica e sessualità - con particolare riguardo ai metodi anticoncezionali, alle tecniche di fecondazione artificiale, all’aborto e alla sterilizzazione-, l’accanimento terapeutico e l’eutanasia, l’ambiente, la droga, l’AIDS).



žQuando nasce la Bioetica? Col processo di Norimberga, dopo la II Guerra Mondiale, si avverte l’urgenza di stabilire delle norme etiche per evitare il ripetersi di crimini compiuti – anche con la collaborazione di uomini di scienza – contro prigionieri e non solo su questi: sperimentazioni, sterilizzazioni, eutanasia, stermini di massa… Segue la Dichiarazione dei diritti dell’uomo (ONU 1948 ), quindi tutta una serie di Dichiarazioni, Carte, Codici, Tra cui il Codice di Etica Medica del 1949 che ricalca il Giuramento di Ippocrate. Fa da sottofondo a tutti questi documenti l’esigenza via via crescente di una riflessione filosofica ed etica da affiancare a quella giuridica: occorre che il diritto sia preceduto e guidato dall’etica. Oggetto di questa riflessione è l’uomo con i suoi valori; il campo di applicazione tutto il vivere umano, in particolare quello biologico-medico.



žUna crisi culturale. Nel giuramento di Ippocrate leggiamo: “Farò servire il regime dietetico a vantaggio dei malati secondo le mie capacità e il mio giudizio e non per il loro pericolo e il loro male, e non farò una pozione omicida né prenderò simili iniziative anche se me le chieda, così non darò a nessuna donna un pessario abortivo”.



La Dichiarazione di Ginevra del 1948, approvata dalla Associazione Mondiale dei Medici, così si esprime: “Mi impegno solennemente a consacrare la mia vita a servizio dell’umanità; praticherò la mia professione con scienza e dignità; la salute del mio paziente sarà la mia preoccupazione; manterrò il massimo rispetto per la vita umana fin dal primo momento del concepimento”.



A metà del secolo scorso inizia il cambiamento di mentalità con una crisi che è essenzialmente crisi culturale che giunge persino a contestare e rifiutare la legittimità della morale (critica dei valori cristiani: differenza col M.Evo - esempio del nascere delle legislazioni sull’aborto nelle nazioni).



La cultura assurge a valore morale, sostituendosi alla retta ragione (Legge Morale): ciò che è valido per i più assurge a valore morale.



Si pone, quindi, la necessità di sviluppare un’etica per l’uomo. Naturalmente di etiche ne sono sorte tante; qui si fa riferimento ad un’etica fedele alla stessa natura dell’uomo (come si chiarirà meglio in seguito). Per la salvaguardia dell’umanità la scienza è chiamata ad allearsi con la Sapienza, al centro della quale, come vedremo, c’è l’etica, ovvero il Valore Morale, la Legge Morale Naturale. A sevizio e ad esplicitazione di questo connubio è nata la Bioetica, definita nell’Encyclopedia of Bioethics, New York 1978: “Studio sistematico del comportamento umano nell’area delle scienze della vita e della cura della salute, in quanto questo comportamento è esaminato alla luce dei valori e dei principi morali”. E’ sorto così un movimento sempre più vasto ad opera di filosofi, teologi, psicologi, giuristi, storici, che valutano, sotto questa angolazione, la liceità di ciò che una tecnologia sempre più all’avanguardia rende oggi applicabile all’uomo in campo medico e non solo. Ciò necessariamente porta ad una rivisitazione e ad un approfondimento dei concetti di bene/male, utile­/inutile, uomo/persona, medico/paziente, ecc. La definizione di uomo/persona, in particolare, diventa campo di battaglia cruciale per le implicazioni quanto mai varie che comporta, a seconda dei modelli etici perseguiti.



žLe radici da cui è nata la bioetica.

Limiti delle scienze. La conoscenza scientifica non esaurisce la conoscenza sull’uomo, in particolare sui valori e sulla sua essenza.

Limiti dei progressi scientifici in campo biomedico. Si è giustamente voluti andare alla radice delle malattie, inoltrandosi nel campo della biologia molecolare che va conosciuta e dominata, nonché all’occorrenza manipolata: ciò comporta dei limiti da rispettare se si vogliono salvaguardare le generazioni future.

Insufficienza delle norme giuridiche. Inadeguatezza, mutevolezza e relatività della legge che registra le “situazioni di fatto”, regolamentandola alla men peggio. La legge fa riferimento agli aspetti sociali, economici, ecc, eludendo di solito l’aspetto etico (che riguarda non ciò che la gente “fa”, ma ciò che “dovrebbe fare”. Naturalmente ciò presuppone l’esistenza di valori oggettivi e universali, escludendo ogni forma di soggettivismo e relativismo).

Socializzazione della medicina. Se questa è per tutti, anche per gli indigenti, nasce un problema di costi, di programmazione e di allocazione delle risorse, cioè c’è un problema di politica sanitaria. Se il riferimento per questa politica è il rapporto costo/beneficio, occorre chiarire cosa si intende per beneficio e come si inseriscono in questa tematica gli anziani e gli handicappati.

žL'oggetto della bioetica sono gli interventi dell’uomo sulla vita umana resi possibili dalle scoperte scientifiche. Perciò la bioetica si può definire con E. Sgreccia: “Quella parte della filosofia morale che considera la liceità o meno degli interventi sulla vita dell’uomo e, particolarmente, di quegli interventi connessi con la pratica e lo sviluppo delle scienze mediche e biologiche”. Sono interventi che hanno l’uomo come protagonista e destinatario



Attualmente l’orizzonte della bioetica si allarga sempre più e cresce la consapevolezza di dover intervenire con urgenza per la salvaguardia della vita delle generazioni future, oggi gravemente minacciata; si parla, infatti, di "Etica del futuro", per indicare che le scelte etiche di oggi comportano delle conseguenze che si proiettano nel futuro e che occorre subito assumersi delle responsabilità perché non avvenga che un vantaggio momentaneo (economico o come qualità di vita) sia seguito poi da una catastrofe futura.



žIl metodo della bioetica. La bioetica è parte della filosofia morale e la riflessione etica si svolge alla luce della ragione umana. A questo punto sorge la domanda: quale etica per la bioetica? Se seguiamo l’etica personalista, che ha al centro la persona umana e il suo valore trascendente, ne deriva che il riferimento ultimo diventa il Valore Assoluto, cioè Dio.



In realtà tutti sono d’accordo nel ritenere l’uomo al centro della riflessione etica, ma non tutti hanno la stessa opinione sull’uomo, per cui il problema morale finisce per diventare un problema antropologico. In altre parole, dalle diverse concezioni che si hanno sull’uomo derivano i diversi modelli etici e, da questi, le diverse bioetiche.







ž Tuttavia i principi cui fa riferimento la bioetica non possono definirsi nuovi in assoluto, in quanto essi affondano le loro radici in quella legge naturale innata nell’uomo, che già Cicerone chiamava "recta ratio" e di cui Platone parlava nei suoi corsi "Intorno al bene". Gli stessi tre principi basilari della bioetica nord-americana indicati nel Rapporto Belmont del 1979 (Rispetto della persona, Beneficialità, Giustizia) trovano riscontro nel Corpus Hippocraticum ed in varie etiche professionali laiche (ad es.: U. K. 1803: Medical Ethics di Sir Th. Percival; USA 1847: primo codice dell’American Medical Association; USA 1963 – 71: dichiarazioni sulle sperimentazioni selvagge, etc.). Essi sono restati in auge fino agli anni 90, grazie soprattutto alla semplicità della formulazione ed anche perché poggiano su alcune valide tradizioni, tra cui quella medica (per il principio di beneficialità e paternalismo), quella giuridica (per il principio di autonomia e diritti del malato), quella politica (per il principio di giustizia e bene sociale).



ž Attualmente possiamo distinguere quattro modelli di riferimento in bioetica, ognuno dei quali si caratterizza per un differente criterio antropologico e, di conseguenza, per una diversa formulazione del giudizio etico:



Modello liberal-radicale (fondazione soggettiva), fondato sulla libertà. Ha per presupposto che non si può formulare una verità ed una legge morale a partire dalla realtà, poiché i fatti sono dimostrabili scientificamente, mentre i valori e le norme sono solo presupposti ed indimostrabili (legge di Hume). C’è un mondo di fatti studiabili scientificamente ed una legge di valori non deducibili dai fatti, quindi non se ne può dedurre una verità universale. I valori sono fondati non sulla verità ma sul soggetto che segue le sue inclinazioni momentanee (in questo modello confluiscono diverse correnti: soggettivismo/decisionismo (Kelsen, Popper), emotivismo (Ayer, Stevenson), esistenzialismo nichilista (Sartre), libertalismo (Marcuse).



Criterio fondativo di questo modello è che la libertà è il massimo valore e si identifica con la moralità; l’autonomia è autodeterminazione. Secondo questo modello etico ogni scelta fatta liberamente e che non danneggia l'altrui libertà è lecita. Sono così giustificati l'aborto, l'eutanasia, il suicidio, ecc.( Ma la libertà presuppone la vita, esige responsabilità, è anche attendere di poterla esercitare. In altre parole il diritto alla vita viene prima del diritto alla libertà, poiché bisogna essere vivi per essere liberi. Chi sopprime la vita di un altro non gli toglie forse la libertà? Inoltre questo tipo di libertà (che è libero arbitrio) è terribilmente riduzionista, perché priva il soggetto stesso della dimensione della responsabilità; la libertà umana dev’essere responsabile perché il decidere comporta sempre un atteggiamento pro o contro qualcuno. Di ogni parola, come di ogni atto libero, portiamo la responsabilità in riferimento a significato e conseguenze (es. se si sgancia una bomba atomica se ne conoscono le conseguenze. Questo modello, proprio perchè rifugge dalla responsabilità, in effetti non può neanche definirsi etico; consapevolezza e responsabilità, infatti, sono alla base della morale).



Modello pragmatico-utilitarista (fondazione intersoggettiva), fondato sull’utilità sociale, intesa come valore: è etico ciò che è utile e piacevole e che è espressione (mutevole) della cultura di un luogo in un dato tempo. Anche per questo modello non c’è una verità valida per tutti e si dà importanza all’intersoggettività basata sull’utilità. C’è attenzione al rapporto costo/beneficio (ma non si tiene sempre conto del rapporto rischio/beneficio), ritenendo secondari i metodi ed i mezzi (il fine giustifica i mezzi). In altre parole, per definire cosa sia utile per la maggioranza (per la società) il modello pragmatico-utilitarista propone il criterio costo/beneficio (es. per decidere se assistere un malato o lasciarlo morire). In tal modo il singolo è valutato, giudicato sulla base di un altro valore, l’economia, senza far attenzione ai mezzi ed ai metodi usati per raggiungere il fine (l’utilità). (Il rapporto rischio-beneficio, ignorato, è invece valido, perché considera il rischio per la vita o per la salute della persona in rapporto al beneficio ottenuto. Quest’ultimo rapporto, proprio del modello personalista, fa riferimento alla singola persona, non alla maggioranza).



Questo modello etico racchiude varie impostazioni: ANALITICA (Russel, Scarpelli), CONTRATTUALISTA (Engelhardt), CLINICA (Jansen, Segler: la bioetica clinica è l’unica bioetica), , FENOMENOLOGICA (Scheler, Hartman, Gracia, Reiner), EGUALITARISTICA (Veatch, Rawls), PRINCIPALISTICA (Beauchamp, Ross, Childress), SULL’ETICA DELLA COMUNICAZIONE (Apel, Hobermas), UTILITARISTA (Bentham, Stuart Mill, Brandt, Singer. Quest’ultimo diceva che il dolore è lo stesso nell’uomo e nell’animale, variando solo per il diverso livello)



Nell’ambito della corrente utilitarista distinguiamo l’UTILITARISMO PURO di Bentham, con l’utilitarismo visto come valore di vita, ed un UTILITARISMO SOFT con beneficialità allargata, che guarda anche alle generazioni future. Aspetto particolare di questa corrente è il CONTRATTUALISMO DI ENGELHARDT, che non propone il criterio costo/beneficio, ma il criterio del consenso: l’utilità sociale è in ragione del consenso sociale. E’ proposto un contratto sociale alla maniera del Rousseau, con un’etica pubblica che dev’essere concordata fra le parti in causa (es. medico-paziente). Le conseguenze sono: j Relativismo ed utilitarismo. k Distinzione degli esseri umani in tre categorie: persone, capaci di scegliere; non ancora persone (embrioni, feti, bambini) perché non ancora capaci di scegliere; non più persone (es. ammalati mentali gravi- Alzeimer), non più capaci di scegliere. Sulle idee di questo autore è stata fondata da molti l’odierna etica laica.



Modello socio-biologista (fondazione biologico-naturalistica), sostenuto da Weber, Heisenk, Wilson, Galton, Chiarelli. Esso si rifà all’evoluzionismo darwiniano e al valore del progresso delle scienze. Non c’è qui un criterio morale soggettivo-individualista, né intersoggettivo, ma un criterio oggettivamente fondato che pone il progresso, cioè l’evoluzione socio- biologica, come valore discriminante. Sì dà per certa la teoria evoluzionistica... fino all’uomo, con adattamento all’ambiente e selezione del gruppo più forte, della razza più forte. L’etica nasce attraverso l’evoluzione e il suo meccanismo: non è l’etica che guida il progresso, ma è esattamente il contrario, e la società giustifica i comportamenti che ha ritenuti più validi.



Conseguenze: j Il progresso della specie umana (che è ciò che interessa più di ogni altra cosa) trascura la singola persona che è sacrificata in nome della specie.( Nel modello personalista c’è un diverso concetto di specie umana e di persona: è nella singola persona che è contenuta tutta la società ed il bene della persona è propedeutico per il bene della società. Ciò che è valido per il singolo è valido per tutti).k Pericolo del riduzionismo antropologico. Sono stati i sostenitori di questo modello a proporre la ibridazione uomo-scimpanzè per ottenere dei forti lavoratori. Essi sono a favore della pianificazione drastica del mondo (entro i due miliardi di persone) per avere una migliore qualità di vita; hanno proposto la soppressione degli individui gravemente malati o portatori di malattie trasmissibili. Ancora oggi esistono in Italia cultori dell’eugenetica. (In realtà, secondo il modello personalista, è lecito procedere a terapia genetica per curare malattie in atto o per prevenire malattie future, ma non è lecito, ad es., ricorrere alla diagnosi prenatale per sopprimere, in caso di malattia, una vita. Ci si chiede, a tal proposito, quali saranno le conseguenze del progetto genoma umano in campo bioetico?).



Modello personalista (fondazione oggettivo-metafisica), proposto dai cattolici, fondato sulla persona intesa come realtà singola ma anche come l’insieme delle persone. Nasce dalla concezione filosofica dell’uomo come persona, nella quale l’essere dell’universo raggiunge la massima espressione, mentre lo stesso mondo materiale acquista il suo significato. La stessa evoluzione ha nell’uomo il suo vertice. La persona umana ha, quindi, nel mondo un primato (in senso cristiano l’uomo è al centro dell’attenzione di Dio che si fa uomo per redimerlo), perciò anche la società va considerata in funzione dell’uomo, non viceversa. Poiché la natura ontologica dell’uomo è unità di corpo e spirito, la morale ed i principi di riferimento del modello personalista non possono non riferirsi al rispetto ed alla promozione di tutto l’uomo, senza trascurare né la corporeità, né la spiritualità. Le dimensioni fondamentali che qualificano l'uomo in quanto persona sono: l'inscindibilità degli aspetti corporei - psichici - spirituali (il corpo non è solo un complesso di organi e funzioni, ma espressione visibile e luogo della realizzazione dell'uomo); la libertà e la responsabilità che nascono dall'intelligenza e dalla volontà; l'eticità che deriva dalla naturale apertura al Valore Assoluto; il diritto alla vita che è premessa indispensabile a tutti i diritti e i valori; la relazionalità che rende ragione della dimensione sociale di ogni problema umano (il problema morale ha sempre una dimensione sociale).



Vi sono vari modelli di personalismo nella storia: 1) PERSONALISMO RELAZIONALE, in cui l’uomo è visto come relazione; cioè esiste l’io in quanto c’è il tu (Hepel, Halermas). A chi sostiene questo tipo di personalismo va ricordato che esiste prima l’essere e poi la relazione che presuppone l’essere. 2) PERSONALISMO ERMENEUTICO di Gedemer: lettura della realtà per quello che significa e non per quello che è; l’uomo dà significato alle cose e questo significato dipende da come egli le intende. 3) PERSONALISMO ONTOLOGICO di S.Tommaso, Maritain, Vanni Rovighi, Sgreccia, ecc. E’ un personalismo con fondazione ontologica: la persona è tale in quanto è costituita da un’esistenza concreta fatta di spirito e corporeità, dove questa esistenza concreta è portatrice di uno spirito che dà vita alla corporeità. Questa realtà costitutiva è la fonte degli atti liberi e responsabili, è la fonte delle relazioni, è criterio ultimo per ciò che è buono (= consente lo sviluppo della natura umana) o cattivo ( impedisce tale sviluppo).

(DA www.bioeticaefamiglia.org)