Il direttivo

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martedì 6 dicembre 2011

SESSUALITA': IL LINGUAGGIO DELL'AMORE

Don Vincenzo Greco, prof. di Teologia Morale

Sentire parlare un sacerdote di amore coniugale e dell’atto sessuale fa sempre uno strano effetto.
“È bello sentir parlare un prete dell’atto sessuale in modo così sublime – rifletteva al termine dell’incontro un partecipante al seminario –. Noi coniugi riusciamo difficilmente a percepirne il valore spirituale”.
Sicuramente ci si chiederà perché mai si è pensato di far parlare proprio don Vincenzo Greco, un sacerdote, di un gesto e di un argomento che riguarda una coppia di sposi.
Semplicemente perché attraverso il seminario “EDUCARE ALLA SESSUALITA’, EDUCARE ALLA VITA”, si voleva in questo terzo incontro approfondire l’educazione alla sessualità sotto il profilo morale (dopo averlo fatto nei precedenti incontri sotto il profilo filosofico e medico), e Greco è professore di Teologia morale.
Nella breve premessa al suo incontro, il relatore ha sottolineato come sia errato pensare la sessualità solo a livello biologico (sesso genetico, sesso somatico, sesso genitale). La sessualità infatti va considerata anche a livello psichico (identità di genere) e a livello spirituale.
Allo stesso modo, l’amore – che è il contesto della sessualità – può essere descritto come agape “l’amore è da Dio” o estasi (livello spirituale); eros (livello biologico); filia intesa come stima, amicizia simpatia, comunanza etica, altruismo, libertà, gratuità, non esclusività (livello psicologico).
Solo se tra due persone ci saranno contemporaneamente agape, eros e filia la sessualità tra di essi sarà espressione di amore; altrimenti sarà solo fare uso dell’altra persona.
La più alta manifestazione di questo tipo di amore è l’amore coniugale: un sentimento che – ha detto don Vincenzo – appartiene alla volontà attraverso la libertà della scelta (conoscenza durante il fidanzamento); è prevalentemente amore di amicizia ed è connotato dal dono totale ed intimo di sé.
Solo in questo contesto l’atto sessuale può essere visto come culmine espressivo dell’amore coniugale e la sessualità come linguaggio dell’amore che ha due significati oggettivi inscindibili:
UNITIVO e PROCREATIVO.
Prima di tutto, l’atto coniugale significa donazione totale di sé e accettazione totale dell’altro.
Allo stesso tempo indica accettazione della vocazione ad essere padre e madre.
La fondamentale adesione alla fecondità – ha continuato il relatore – deve poi attuarsi in modo responsabile. Occorre regolare di comune accordo, senza grettezza e calcolo, il numero e il momento opportuno delle nascite tenendo conto del bene dei coniugi; dell’educazione dei figli che nasceranno e di quelli già nati; delle condizioni generali della società.
Può così considerarsi autentico solo il comportamento che mette insieme la responsabile regolazione delle nascite e la disponibilità effettiva di accogliere la vita.
È facile comprendere come il ricorso ai ritmi naturali rispetta la completa varietà oggettiva, non solo biologica ma anche simbolica, dell’atto sessuale; nello stesso tempo favorisce la crescita di altri valori: dominio di sé, rispetto dell’altro, dialogo, tenerezza.
Al contrario l’aborto, i mezzi contraccettivi (Per di più molto spesso non si tratta di contraccettivi, ma di abortivi mascherati),la fecondazione artificiale, quali che sia l’intenzione soggettiva, rendono oggettivamente falso il gesto dell’amore coniugale, perché appunto separano il significato unitivo da quello procreativo.
Imparare a parlare il linguaggio dell’amore non è poi così tanto semplice – ha infine riferito don Vincenzo Greco –.
La mancanza di maturità affettiva e le ferite del peccato possono rappresentare un grosso ostacolo.

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