Il direttivo

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lunedì 8 marzo 2010

RU 486 ovvero l'aborto "fai da te"

Molti avranno letto o sentito dire che la RU 486 viene presentata come la migliore risposta utile a superare il dramma dell’aborto chirurgico. La verità è che l’aborto chimico non è affatto meno traumatico dell’aborto chirurgico e cercherò di seguito, attraverso un articolo di Olimpia Tarzia, di portare le ragioni a fondamento di questa affermazione.
Come agisce la RU 486
Innanzitutto cos’è la RU 486? Vanno subito chiariti gli aspetti terminologici: non è un farmaco, visto che, nella lingua italiana e nella terminologia medico-scientifica, “un farmaco può essere utilizzato o somministrato allo scopo di ripristinare, correggere, modificare funzioni fisiologiche”, insomma, anche nel sentire comune, un farmaco, normalmente, si assume per curare patologie: oggettivamente non è il caso della RU 486. Inoltre la gravidanza non è una malattia e il figlio non è un virus. Dobbiamo dunque chiamarla col suo nome: una sostanza chimica che ha come scopo, dichiarato e diretto, la soppressione di un essere umano. La sua somministrazione, di norma a due mesi circa di gravidanza (entro il 49esimo giorno), provoca infatti un aborto.
Tecnicamente è un contragestativo, cioè esplica la sua azione abortiva quando l’embrione è già annidato in utero. Non va confusa, dunque, con la pillola del giorno dopo (che, come sappiamo, è da anni in vendita nelle farmacie) che è un intercettivo, cioè intercetta l’embrione per distruggerlo nel suo percorso lungo la tuba verso l’utero. È evidente, comunque, che entrambi, RU 486 e pillola del giorno dopo, sono strumenti di morte e per quel bambino l’effetto è identico: non potrà mai nascere! La modalità di azione della RU 486 è perversa perché studia la logica della vita per trasformarla in logica di morte. Sappiamo che sin dal concepimento esiste un dialogo, di natura biochimica e ormonale, tra madre e figlio; è grazie a quel dialogo che, appena concepiti, pur avendo un DNA diverso, non siamo stati aggrediti e distrutti dal sistema immunitario materno; è ancora grazie a quel dialogo che al momento dell’annidamento in utero siamo stati guidati verso il sito più adatto ed accogliente. Questo dialogo è fitto e costante durante tutta la In particolare, nelle prime settimane, anziché atrofizzarsi, il corpo luteo (che si forma nell’ovaio in seguito alla rottura del follicolo che ha liberato l’ovulo) si conserva e si ingrandisce grazie ad un ormone, la gonadotropina corionica umana (HCG), secreto dalla placenta del bambino. Il corpo luteo, in risposta, produce il progesterone, ormone che sostiene e protegge la gravidanza. Tale ormone, però, per attivarsi e svolgere la sua funzione, ha bisogno di fissarsi a dei recettori materni situati nella parete dell’utero materno. Per comprenderne meglio il meccanismo possiamo immaginare le molecole del progesterone come delle chiavi che, per funzionare, devono introdursi in altrettante serrature, rappresentate dai recettori materni. La RU 486 “simula” di essere il progesterone, con la differenza che è molto più veloce ed affine ai recettori materni, cosicché, quando il progesterone del bambino raggiunge le serrature, le trova già tutte occupate dalle “finte” chiavi della RU 486. La conseguenza è il crollo del livello del progesterone, tale da provocare l’aborto.

RU 486: un trauma terribile
Sia la più autorevole rivista medica NEJM, New England Journal of Medicine, che il New York Times, hanno pubblicato numerosi articoli ed inchieste relativamente ai pesanti effetti collaterali della pillola abortiva RU 486: le morti da aborto chimico sono 1 su 100.000, rispetto a quelle per aborto chirurgico registrate nello stesso periodo della gravidanza: 0,1 su 100.000. Una mortalità dieci volte maggiore, quindi, nel caso della pillola abortiva. Ventinove donne nel mondo sono morte a seguito di somministrazione della RU 486, forse per i suoi sostenitori non sono ancora abbastanza. Dai suoi fautori l’aborto tramite RU 486 viene definito meno traumatico dell’aborto chirurgico (qualcuno lo definisce aborto dolce ….!!!! Una triste consonanza con la dolce morte….) ma non è affatto così. Infatti, a parte i già menzionati rischi per la salute fisica e la vita stessa della donna, sul piano psichico si è rivelata devastante. La modalità di azione è la seguente: la donna assume in ospedale una pillola di mifepristone (la RU 486) che, bloccando il progesterone, uccide l’embrione in grembo. Poi va a casa (sarà, infatti, facilitata, nella prassi, la firma delle sue dimissioni) e dopo quarantotto ore assume la seconda pillola, il misoprostol (Cytotec, farmaco normalmente utilizzato per patologie gastriche), che provoca contrazioni molto dolorose (servono gli antidolorifici) tese ad espellere, attraverso abbondanti emorragie, l’embrione morto. Parliamoci chiaro: chi afferma che tutto ciò non è traumatico, o non sa di cosa sta parlando o è ideologicamente accecato. Nell’aborto chirurgico la donna delega, appunto al chirurgo, l’intervento sul suo bambino, spesso è in anestesia totale; ben diverso dall’essere lei stessa protagonista della morte del proprio figlio, ingoiando due pillole che sa essere mortali per il suo bambino, (ma spesso non sa essere dolorosissime e pericolose per se stessa): è proprio lei che ne procura direttamente la distruzione e la sperimenta sulla propria pelle. Vive l’aborto in diretta, sapendo di averlo procurato con le sue stesse mani. Semplici conoscenze di psicologia elementare evidenziano che questo, dal punto di vista di “elaborazione del lutto”, rappresenta un trauma terrificante.


RU 486 e violazione della legge 194/78
Non c’è dubbio che l’uso della RU 486 presenta diversi punti di incompatibilità con la legge 194/78, che ha legalizzato l’aborto in Italia. Nell’analizzarne i numerosi termini di conflitto, non possiamo però mai dimenticare l’oggettiva, profonda iniquità di tale legge, poiché è sottile, ma reale, il rischio che, evidenziando gli aspetti violativi della norma nell’uso della pillola abortiva, surrettiziamente avalliamo la bontà della legge, che, invece, non possiamo mai smettere di contrastare. – La legge 194 prevede che l’intero iter abortivo si svolga in ospedale, la RU 486 va esattamente nella direzione opposta: è stata infatti pensata per abortire a casa, senza il ricovero ospedaliero. Nel 2004 in Francia è stato autorizzato l’uso privato della pillola abortiva, acquistabile in farmacia, senza dunque obbligo di ricovero ospedaliero. Primo passo verso il destino per cui la pillola è stata voluta. – Chi ha voluto la 194 affermava che la finalità (rivelatasi poi assolutamente fallita) era sottrarre l’aborto alla clandestinità, renderlo un problema sociale, addirittura a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Non ancora soddisfatti delle menzogne propinate durante la campagna referendaria sulla fecondazione artificiale, i fautori dell’aborto “fai-da-te” continuando a mentire, affermando che la RU 486 è per la donna meno traumatica dell’aborto chirurgico, hanno aperto di fatto la strada ad una nuova clandestinità: la donna abortirà nella clandestinità più atroce: nel bagno di casa. Da sola. – Le affermazioni dell’Aifa non riescono a rassicurare riguardo al fatto che l’intero iter abortivo sarà ospedaliero, in quanto non è previsto regime di ricovero ordinario ed è molto verosimile che, nella prassi, ineluttabilmente, le esigenze economiche delle strutture sanitarie condizioneranno non poco le procedure: alla donna, dopo l’assunzione della prima pillola, verrà proposto di firmare un foglio di dimissioni e andarsene a casa, senza ricorrere ad un ricovero in ospedale, che potrebbe durare dai tre ai quindici giorni. Contraddicendo in toto la legge 194. – Nella sua profonda ipocrisia, comunque, la 194 specifica che la donna prima di abortire si sottoporrà ad un colloquio “teso a rimuovere le cause che la inducono al ricorso all’aborto” e che verrà invitata a ripensarci per una settimana. Ovvio che questo pur flebile tentativo non è contemplato con la RU 486.

Il “federalismo abortivo”
La richiesta di “ricovero ordinario” del Ministro del Welfare, Sacconi, all’Aifa, a conclusione dell’indagine conoscitiva avviata dalla Commissione Sanità del Senato, ha ricevuto una pilatesca risposta; l’Aifa, infatti, facendosi scudo delle sue competenze “limitate al regime di fornitura/modalità di dispensazione del farmaco” rimanda “alle autorità competenti l’emanazione dei provvedimenti applicativi o specificativi” per garantire “il pieno rispetto della legge 194 nonché l’osservanza sul territorio delle modalità”. Di fatto si rimandano alle Regioni “le disposizioni per il corretto percorso di utilizzo clinico del farmaco”. Sorge spontanea una domanda: ma non dovrebbe essere proprio l’Aifa, organismo pubblico, ad esercitare, tramite monitoraggi continui, attività di farmaco-vigilanza? E come pensa di svolgere questo compito, visto che lo scarica alle Regioni? La realtà è che la RU 486 rivela sempre più una pratica non solo di “aborto fai-date”, chiunque, comunque e dovunque, ma anche di “Regione fai-da-te”, con le conseguenze che tutti possiamo immaginare, tant’è che già l’Emilia Romagna ha varato un protocollo che prevede l’aborto chimico in regime di day hospital.

Una vera emergenza educativa
Ripercorrendo l’inarrestabile cammino della RU 486 nel mondo, sono, penso, evidenti, oltre che gli aspetti ideologici, le logiche di lucro sottostanti. Sulla pelle dei più deboli: il bambino e la donna, la quale, tra l’altro, è costretta a firmare un foglio di consenso informato per cui, qualora l’aborto chimico non riuscisse (accade nell’8% dei casi per l’assunzione della pillola entro i primi 49 giorni e sale fino al 23% nei successivi 14 giorni) è costretta a sottoporsi obbligatoriamente all’aborto chirurgico. In pratica, per evitare rischi di denunce per nascite di bambini malformati, non le è consentito cambiare idea. Probabilmente questo cammino di morte non potrà essere materialmente arrestato, ma credo che molto potremo fare attraverso la diffusione di informazioni chiare e corrette, di assoluto rigore scientifico, attraverso la formazione e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, risvegliando le coscienze di tutte le persone intellettualmente oneste. Ogni anno nel mondo si effettuano 53 milioni di aborti: ovvero ogni anno abbiamo annualmente un numero di vittime pari a quelle provocate dall’intera Seconda guerra mondiale. In Europa sono annualmente circa 1 milione e duecentomila le vittime di aborto, In Italia circa 150.000 l’anno (da quando è stata approvata la legge 194, cinque milioni: pari a circa l’intera popolazione residente nel Lazio), nel Lazio ogni anno sono circa 16.000, di cui 15.000 a Roma. Non è un elenco di cifre: dietro ogni numero c’è un bambino, una bambina cui è stato impedito di nascere, una donna che porterà per sempre una tristezza nel cuore, una società che ha smarrito lo spirito di umanità e il senso della solidarietà verso i suoi figli più deboli e più fragili… Non avrebbe più senso, non sarebbe più umano tentare di fermare questa strage? Con politiche di effettiva tutela sociale della maternità, di sostegno alla famiglia, di vere pari opportunità a nascere e a vivere, anziché, deresponsabilizzandosi, gettare tutto il peso sulla donna e, ancor peggio, di fronte alla sua richiesta di aiuto, mandarla a casa con una pillola assassina in tasca, lasciandola ancora più drammaticamente sola? Penso dovremmo spostare il dibattito da “aborto chirurgico o chimico?” a “come fermare il dramma dell’aborto?” È evidente, infatti, che il problema, oltre che nascondere risvolti ideologici ed economici, investe profondamente gli aspetti culturali, educativi e, fondamentalmente, la questione antropologica. Perché è chiaro che tutte le azioni umane, in ambito giuridico, economico, sociale, culturale e politico scaturiscono da una precisa visione antropologica, da una precisa domanda: chi è l’uomo? Il valore della sua vita, la sua incommensurabile dignità, possono essere assoggettati ad opinioni mutabili nel tempo.

Olimpia Tarzia
VicePresidente Nazionale Confederazione Italiana Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana

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